Con ben cinquant’anni di anticipo sul classico "A sangue freddo" di Truman Capote (1966) e quasi un secolo prima de "L’avversario" di Emmanuel Carrère (2000), Annie Vivanti firma un precoce esempio di "romanzo-verità", raccontando la vita di una donna che nel 1910 aveva sedotto e inquietato l’opinione pubblica italiana. Maria Tarnowskaja (1877-1949), con la sua vita dissoluta, i suoi molteplici amanti e i crimini in cui era coinvolta, rappresenta un personaggio di estremo interesse per l’autrice. Così, dopo aver seguito il processo per l’omicidio del conte Pavel Kamarovsky (consumatosi a Venezia nel 1907), la scrittrice si reca al penitenziario di Trani in cui la femme fatale russa sconta una pena di otto anni. Avrà così modo di ricevere il quaderno di memorie della donna, grazie a cui comporrà questo libro straordinario. Anna Emilia Vivanti (1866-1942) nasce nel sobborgo londinese di Norwood, dove il padre – fautore degli ideali mazziniani – si è rifugiato per scampare all’arresto. Cresciuta fra Italia, Svizzera, Inghilterra e Stati Uniti, esordisce con la raccolta poetica "Lirica" (1890). Dal matrimonio con John Chartres, indipendentista irlandese, nasce la figlia Vivien, che nei primi anni del Novecento si affermerà come enfant prodige del violino. In questi anni pubblica racconti, romanzi e opere teatrali in inglese. "I divoratori" (1911) segna l’inizio di un lungo successo editoriale anche in Italia, dove Annie si trasferisce in seguito alla Grande Guerra. Nel 1941 viene trattenuta dalle autorità fasciste a causa della sua cittadinanza inglese, ma Mussolini in persona intercede per permetterle di abitare a Torino. Personalità eclettica ed estremamente cosmopolita, Annie Vivanti è nota per romanzi come "Naja tripudians", "Mea culpa" e "Vae victis!".